da napolipiu, foto web
Napoli.-Milan è la partita di Gennaro Gattuso. Il tecnico ha mostrato le sue doti ma ora deve fare il passo superiore.
Le due esperienze di Gennaro Gattuso come allenatore di primo livello, sulla panchina del Milan e poi su quella del Napoli, si somigliano in maniera incredibile, quasi sinistra.
Il timing iniziale, spiega Rivista Undici, è praticamente identico – ha preso il posto di Montella a fine novembre 2017, ha sostituito Ancelotti a dicembre 2019.
Anche l’evoluzione degli scenari tattici è stata simile: Gattuso ha impostato il suo lavoro da subentrante in maniera rigida, per non dire idealista, ha restaurato il 4-3-3 e imposto il primato del possesso palla al Milan e al Napoli, e dopo ha raggiunto la finale di Coppa Italia, giocata sempre contro la Juventus; nella seconda stagione ha dovuto far fronte ad alcuni cambiamenti nell’organico e nel progetto delle due società, così ha deciso di modificare l’assetto della sua squadra.
In questi percorsi paralleli, però, si sono manifestate pure alcune differenze: una pandemia mondiale, l’esito opposto delle due finali di Coppa Italia e l’opportunità di gestire una rosa completa, e di alta qualità, come quella attuale del Napoli.
Se la pandemia è stata, ed è ancora, una circostanza incontrollata e incontrollabile, gli altri due fatti sono puramente calcistici, quindi sono eventi misti, dovuti alla bravura e al caso.
Oggi Gattuso allena e mette in campo una squadra molto diversa, che si è trasformata un’altra volta: come il Milan della stagione 2018/19 – che dovette rinunciare a Biglia per un lungo infortunio, che acquistò Higuaín e Bakayoko e poi a gennaio prese Piatek per sostituire l’attaccante argentino.
Anche il Napoli ha vissuto degli stravolgimenti, a cominciare dall’enorme investimento su Victor Osimhen, una punta che sa giocare benissimo in un campo lungo, che ama in spazi ampi, aperti; la seconda grande novità della nuova annata è la volontà, unita pure alla necessità economico-strategica, di rilanciare Hirving Lozano, un altro calciatore che si esprime molto meglio quando può attaccare la porta in maniera diretta.
La forza, le caratteristiche e la futuribilità di questi due calciatori hanno spinto Gattuso a varare un cambiamento tattico abbastanza significativo per il Napoli: ora la squadra azzurra scende in campo con il 4-2-3-1 e pratica un calcio fondato su principi offensivi diversi, più verticali, su un centrocampo più fisico – è stato presto in prestito Bakayoko, guarda caso. In pratica Gattuso ha dovuto reinventarsi ancora.
IL VALORE DI GATTUSO
La nostra smania di semplificare tutti i fenomeni e tutti i concetti, pure quelli più articolati e complessi, ci spinge a creare delle categorie valoriali nette, opposte, distanti tra loro: nel calcio, quindi, esistono gli allenatori visionari, quelli per cui la costruzione di una precisa identità tattica è la base primaria per perseguire la ricerca del risultato (i vari Guardiola, Klopp, Sarri o De Zerbi); a questi si devono necessariamente contrapporre i tecnici pragmatici ed elastici, che di volta in volta rielaborano principi e assetto di riferimento, così da raggiungere più velocemente, più facilmente, gli obiettivi sportivi (i vari Mourinho, Allegri, Simone Inzaghi).
Questa tendenza a dividere tutto in gruppi cancella le zone grigie, le zone intermedie e sfumate, quelle in cui si determina la realtà, quelle in cui abitano tantissimi allenatori.
Il punto è che Gattuso ha sempre parlato di calcio, del suo calcio, raccontandolo come un gioco identitario, con termini ben definiti, per non dire addirittura radicali.
Non è stato l’unico a comportarsi così, con il tempo tutti i tecnici più rigidi hanno dovuto modificare qualcosa per poter continuare a esistere, per poter continuare a vincere dopo aver cambiato squadra.
Il gioco di posizione di Guardiola è diventato più verticale nel corso delle sue esperienze al Bayern e al City, il calcio ipertrofico di Klopp ha saputo metabolizzare la necessità di controllare il possesso palla e di frenare un po’ i ritmi in alcuni frangenti di alcune partite, persino Simeone, nel nuovo Atlético Madrid, sta sperimentando soluzioni un po’ più audaci e sofisticate in fase offensiva.
Rispetto a questi allenatori, però, Gattuso ha deciso di attuare cambiamenti molto più profondi, e inoltre ha accettato questo compromesso prima di affermarsi in maniera definitiva. Prima di lasciare il proprio segno nella storia.
GIUDIZIO INCERTO SU GATTUSO
È questo il dubbio che rende un po’ incerto il giudizio su Gattuso, sulle sue possibilità attuali, sui suoi margini di crescita. Un tecnico dell’era contemporanea, del resto, ha poche strade perché il suo nome possa essere ricordato: creare qualcosa di veramente innovativo, essere rappresentante e portatore di un’identità tattica riconoscibile, oppure ottenere grandi risultati.
Se, come sembra, la scelta di Gattuso è – e sarà – quella di assecondare le caratteristiche della rosa del Napoli, di comportarsi come un allenatore elastico, è il momento di alzare l’asticella degli obiettivi e del rendimento. Del resto ha uno dei migliori organici della Serie A per qualità e profondità, ha la fiducia della società, che sta chiudendo la trattativa per rinnovargli il contratto, e ha anche un’altra grande occasione in Europa League, una competizione in cui sembrano esserci poche squadre all’altezza del Napoli – il Tottenham, l’Arsenal, forse Milan e Roma, stop. Il primo bilancio della carriera di Gattuso in panchina è positivo ma non luccicante, ma ora sembra essere il momento giusto perché le cose cambino, o quantomeno possano essere chiare, definitive, per lui e per noi.